San Giacomo protettore dell’Afrobeat

 

Domenica 26 giugno 2011, ore 19.

Nel giro di mezzora quella che Fela definiva la più infernale macchina ritmica dell’Africa Subsahariana si è impossessata di questo sontuoso feudo dimenticato dalla civiltà contemporanea, imponente castello del ‘600 chissà quante volte violato, già rifugio di briganti leggendari e teatro sornione di misteriosi incontri. I ragazzetti di Lagos sono arrivati poco fa: scattano foto, fumano rotoli d’erba e si riparano dal sole che tarda a nascondersi dietro l’argine del fiume Lamone.


Nel souncheck provano un brano solo ed è proprio Zombie. Nessuno di noi se l’aspettava, la stessa hit di Fela che suo figlio ha cantato nel nostro disco. Nel precedente tour l’unico brano del padre in repertorio era Everything Scatter e nei giorni scorsi mi chiedevo giusto quale altro avrebbe scelto Seun per il nuovo tour. Avrà optato per Zombie dopo averla registrata con noi a febbraio? Fatto sta che ci ritroviamo tutti a bocca spalancata presi in contropiede. Nel nostro repertorio Zombie è il quinto in scaletta, su sei brani in totale.

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Nella band di Lagos che ora sta scendendo rumorosamente dal palco c’è anche Baba Ani, al secolo Lekan Animashaun, classe 1940, il baritone sax che accompagnò Fela sin dagli esordi nel 1965, quando il sound non era ancora afrobeat ed il nome della band era Koola Lobitos. Delle colonne portanti del decennio d’oro uno dopo l’altro, per un motivo o per l’altro, abbandonarono Fela (il colpo più pesante fu la diserzione collettiva di Tony Allen, Kologbo ed altri membri della band dopo il concerto al Festival Jazz di Berlino, esibizione peraltro immortalata in un raro dvd). Baba Ani non solo fu il suo compagno più fedele, ma fu militante attivo nel Movement of the People, il partito politico con cui Fela tentò di candidarsi alle elezioni presidenziali in Nigeria nel 1979. Quando poi Tony Allen abbandonò la nave, fu lui a prenderne il comando, divenendo il direttore musicale della band, la quale nel frattempo cambiò nome per seguire le divagazioni esoteriche del Black President e passò a chiamarsi Egypt 80’s. Gli stessi che, sempre sotto la guida di Animashaun, non più sax baritono bensì tastierista, ora stanno risalendo sul pulmann diretti al ristorante.

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Il nostro soundcheck è in ritardo come previsto (…) ma i fonici sono tanti e lesti. Il sole ancora non cala anzi picchia più che mai giusto di fronte a noi e una corda del clavicembalo salta in men che non si dica. Sempre loro, i fonici tanti e lesti si ingegnano per tirar su delle improbabili tende a riparo dei nostri strumenti a corda. Qualche Abbonato Ravenna Festival già sta entrando nel parco, sono le 8 in punto… Proviamo proprio Zombie per ripassare l’arrangiamento strumentale con le sezioni di archi scritte da Checco Giampaoli. Quando la feci ascoltare a Seun in cuffia, nell’albergo in cui alloggiava insieme a tutti gli artisti del Festival Des Arts Negrés, a Dakar, gli archi non c’erano ancora e il mix era ancora molto rough, ma lui strabuzzò gli occhi ed immediatamente fece due commenti, uno sul groove (gli piaceva molto) e l’altro sul solo di Tim (“ma chi è questo clarinettista?”). Tra un pollo fritto e un gol dell’Arsenal in tv mi disse “Sure bro’, it will be fun to sing upon this!”.

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Suoniamo al volo anche un tema di Trouble Sleep Yanga Wake Am per provare i suoni di contrabbasso e ocarina. Il clavicembalo innesca qualche feedback nei monitor sul palco e nei subwoofer sotto, ma in qualche modo riusciamo ad avere un buon ascolto. Il tempo di provare la partitura per percussioni e orchestra all’interno di Observation Is No Crime (scritta da me, Cristiano e Anna) e risaliamo nei camerini per una birretta. Abbiamo a nostra disposizione nientemeno che la sala grande al secondo piano di Palazzo San Giacomo, è un po’ fatiscente ma tutta affrescata conserva un certo fascino antico ed è decisamente suggestiva, wow! Alle 21.30 si inizia.



Quando saliamo sul palco il parterre e gli spalti sono pieni di gente, l’atmosfera è quella del festival rock, tanti giovani ma soprattutto tante facce funk con voglia di ballare. Seun ancora non si è fatto vedere ma durante il nostro concerto, più o meno a metà, stanno tutti là dietro, in piedi a fumare e a guardare fisso sul palco. Valeria è salda sul riff di Zombie da almeno 5 minuti e le indico con uno sguardo la squadra di Lagos  alle sue spalle. Chissà se avevano già visto prima una viola da gamba ed un fagotto…

Mentre si esaurisce l’ultimo applauso del pubblico e io sto ancora togliendo le mie cose dal palco sento un applauso fuori dal coro che proviene dalle retrovie. Poi un altro. E un altro e un altro ancora… Gli Egypt 80 in fila indiana al lato della passerella che porta dal palco ai camerini stanno applaudendo uno ad uno i musicisti della Classica Orchestra Afrobeat mentre scendono. Sono sorridentissimi e molto eleganti, quasi composti, chissà una forma di riverenza verso gli strumenti cosiddetti “colti”?

Semplicemente emozionante.


Ora è il loro turno. Intravedo di sfuggita Seun, ci abbracciamo e poi parte la ritmica serrata ed elettrica degli Egypt 80. Il trombettista presenta la band e le coriste chiamano il leader che entra tra gli applausi dei quasi 2000 presenti. Tarderà poco a scoprire l’enorme tatuaggio sulla sua schiena che recita Fela Lives. Noi restiamo soli nel tendone a fianco al palco, adrenalina che scende ma nemmeno il tempo di riprendere conoscenza e spuntano pasticcini per tutti! In un angolo c’è una culla con Viola che dorme come un sasso, festeggiamo i suoi 20 giorni di vita, olè.

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Mentre ballo in mezzo alla pista un ragazzo mi batte alla spalla e mi dice: “io l’ho visto, Fela. Vent’anni fa a Perugia. Bravi.”


Quando infine rivedo Seun nel camerino è una festa. Mostra il nostro disco a tutti quanti, organizzatori, promoter, musicisti. Nella grafica di copertina (opera del fraterno militante e sublimo designer Matteo Zanotti) c’è un bollino con la scritta “featuring Seun Kuti & Kologbo” e lui ne va fiero. A dire il vero… saremmo noi, ad andarne fieri, comunque… Dopo il suo concerto brindiamo con un whisky a San Giacomo, santo appena consacrato protettore dell’Afrobeat e ci diamo appuntamento alla prossima occasione, chissà dove.


marco zanotti

(foto di Silvia Baraldi)

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